“Virtuale è reale”: esordisce così il Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport, progetto di sensibilizzazione dell’Associazione "Parole O_Stili" contro la violenza verbale, redatto nel 2017 con la partecipazione di atleti, club, federazioni, aziende, giornalisti e comunicatori legati al mondo dello sport.
C’è anche il contributo della FIBS tra gli oltre 100 partecipanti al progetto socio-culturale che riassume in dieci semplici principi ciò che caratterizza davvero lo sport: un sentimento nobile, espressione di un linguaggio rispettoso dentro e fuori dal campo. Sempre più difficile, quest’ultimo, da rintracciare nel mare magnum di insulti e manifestazioni di odio da parte degli spettatori. Ecco perché è importante dare voce ad iniziative come questa, evitando la deriva -ostile, appunto- che sempre più spesso permea la comunicazione di tifosi e addetti ai lavori.
Se da un lato è vero che spesso “la realtà supera la fantasia”, lo è anche
che il digitale agevola comportamenti e azioni violente. L’appiattimento delle
emozioni suscitato da una costante spettacolarizzazione della quotidianità –
soprattutto sui social - tende infatti a normalizzare pratiche altrimenti
considerate estreme: insulti omofobi, xenofobi e razzisti costituiscono una parte
considerevole e “abitudinaria” delle bacheche di Facebook, Instagram e TikTok, influenzando
indirettamente gli utenti a comportamenti che spesso non praticherebbero di
persona.
È proprio il tone of voice il protagonista del Manifesto, che vuole
diffondere l’attitudine a scegliere con cura le parole, senza incorrere in
pregiudizi e commenti denigratori che possono ledere la dignità delle persone
cui sono rivolti (quello che la cultura anglofona definisce “hate speech”).
“Siamo ciò che comunichiamo”: il secondo principio del Manifesto invita a
riflettere sul significato dei nostri discorsi, che definiscono la nostra
identità e ciò in cui crediamo. Non c’è dunque da essere fieri dei dati emersi
dalla ricerca 2024 del Barometro dell’odio nello sport, realizzata dal
Centro Coder dell’Università di Torino nell’ambito del progetto “Odiare
non è uno sport“: solo su Facebook i post che contengono hate
speech sono aumentati dal 13,6% al 26,8% rispetto al
2019. Ben il 54,9% dei commenti è
stato considerato hating, ancora una volta in crescita rispetto al 31% del 2019.
Sui social le discipline con le più alte percentuali di commenti che incitano all’odio sono calcio, pallavolo e basket, il più delle volte con un triste comune denominatore: lo sport al femminile. La lotta contro la discriminazione di genere nello sport è un altro dei punti cardine del Manifesto, stilato con il proposito di monitorare la tendenza ancora oggi radicata negli usi e costumi della società. Non importa quale sport si prenda in analisi: le offese nei confronti delle atlete sono all’ordine del giorno e sempre più violente, costringendo molte Federazioni Sportive a prendere seri provvedimenti.
«Fate schifo», «A rugby giocano solo le lesbiche», «Si
ostinano a giocare a questo sport e diventano degli scaricatori di porto»: solo alcuni dei giudizi estrapolati dall’Italrugby femminile,
che per contrastare l’ondata di hating ha lanciato una campagna di sensibilizzazione
a un utilizzo consapevole e responsabile dei social.
Ma se da un lato l’educazione fa da padrona per arginare una deriva definita dall’Associazione O_Stile “quasi tribale”, dall’altro c’è chi è corso ai ripari dal punto di vista legislativo per fornire un rimedio concreto. È il caso della Scozia, che tramite il Hate Crime Act dal 1° aprile 2024 ha esteso il crimine di “incitamento all’odio” anche a chi offende e denigra le persone transessuali e transgender oltre ai casi di razzismo, abilismo e orientamento religioso e sessuale. Una presa di posizione decisa – non senza controversie legali ed etiche – che secondo l’ex primo ministro scozzese, Humza Yousaf «è stata progettata per affrontare la crescente ondata di odio nella società» e che tiene fede al sesto principio del Manifesto: “Le parole hanno conseguenze”.
L’inasprimento delle sanzioni è tuttavia solo un palliativo nei confronti
di una mentalità “dura a morire”: a monte di un concreto cambio di marcia c’è infatti
sempre la cultura dei valori, motore di un’attitudine che potrà
dirsi veramente innestata solo quando non farà più notizia.
Di qui il ruolo della Federazione Italiana Baseball e Softball, in
prima linea nella composizione del Manifesto per diffondere quanto più
possibile l’attitudine ad una comunicazione sana e portatrice delle virtù
insite nel nostro sport. Collaborazione, uguaglianza e rispetto: parole
che devono diventare fatti ogni giorno, in ogni contesto -dal virtuale
al reale- e verso chiunque.
Perché, come recita il Manifesto, “Le idee si possono discutere. Le
persone si devono rispettare” e “Gli insulti non sono argomenti”: se
l’unica considerazione in merito alla prestazione di un’atleta è un oltraggio,
significa che di argomenti da discutere non ce ne sono. E allora, in assenza di
una critica costruttiva che deve necessariamente far parte della vita di uno
sportivo, l’unica cosa da fare è desistere dal mettere le mani sulla tastiera,
poiché nella maggior parte dei casi “il silenzio è d’oro”.
Scopri il Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport sul sito dell’Associazione Parole O_Stili.
di Edoardo Draghetti